mercoledì 20 settembre 2017

Il figlio dell'Imperatore, di Ōe Kenzaburō



Ho sempre provato una certa ostilità nei confronti di Ōe Kenzaburō – uno dei più importanti autori giapponesi contemporanei e premio Nobel per la letteratura 1994 – perché l'ho sempre visto molto critico nei confronti di autori da me molto amati quali Murakami Haruki e Yoshimoto Banana; ho sempre ritenuto che peccasse un po' di spocchiosità per il suo continuo ostinarsi a sostenere il confine tra la jun bungaku (letteratura pura) da cui proviene e la taishū bungaku (letteratura di massa) in cui colloca questo tipo di autori. Per questo motivo, principalmente, mi sono sempre rifiutata di leggere i suoi lavori e ho lasciato due dei suoi libri che mi fecero acquistare all'università a prendere inutilmente polvere per anni sulla libreria. Oggi che anch'io ho assunto un atteggiamento più critico nei confronti di Murakami e della Yoshimoto e che, da specializzanda in letteratura giapponese, li considero un po' sopravvalutati, ho pensato che fosse giunto il momento di dargli una possibilità e ho capito che a volte ci lasciamo condizionare da inutili pregiudizi precludendoci con le nostre stesse mani strade che potrebbero condurre a meravigliose scoperte. E questo, una bellissima scoperta, è stato per me Il figlio dell'Imperatore, uno dei romanzi più controversi dell'autore.


Nell'attimo in cui ho massacrato il mio egoismo, nell'attimo in cui ho chiuso in un labirinto sotterraneo l'individuo, è nato il nuovo me stesso privo di angosce, il figlio dell'Imperatore, mi sono liberato.

La storia narra di un giovane diciassettenne, un seventeen, nel suo percorso dall'adesione al Kōdōha (Fazione del cammino imperiale, un movimento politico di estrema destra) fino all'omicidio, seguito da suo stesso suicidio, di un importante esponente politico. Il racconto è in prima persona e svela gli orrori della follia e del fanatismo direttamente attraverso gli occhi di un giovane paranoico e aggressivo, seguendo dall'interno il complesso tragitto interiore che lo conduce a una rabbiosa pazzia cui solo il suo folle gesto potrà mettere fine.
Il libro, diviso in due volumi – Seventeen e Morte di un giovane militante – è pubblicato per la prima volta nella sua versione integrale proprio grazie a questa versione di Marsilio Editore del 1997, mentre ancora oggi non risulta essere uscito integralmente in Giappone. Pur non facendo nomi né citando direttamente episodi precisi, l'opera fa infatti riferimento a due episodi realmente accaduti che, all'epoca della loro prima pubblicazione, diedero non poco filo da torcere all'autore: l'implacabile ondata di scioperi  avvenuta il 15 giugno 1960 contro l'istituzione di un nuovo Trattato di sicurezza nippo-americano e l'uccisione del segretario del Partito socialista Asanuma Inejirō, avvenuta per mano del giovane Yamaguchi Otoya, successivamente morto suicida in prigione. Da sempre attivamente impegnato nella politica, in cui agisce spinto da ideali antifascisti e in costante lotta per l'affermazione dei diritti delle minoranze, Ōe sceglie con questi due racconti di attaccare l'estrema destra direttamente dall'interno, costringendo il lettore a guardare il mondo con gli occhi di un protagonista, il seventeen, violento e ossessionato dalla figura dell'Imperatore, nell'idealizzazione della quale annulla la sua stessa esistenza. Nel fare ciò l'autore non si perde nel dare giudizi, non presenta alcuna prospettiva esterna se non quella dello stesso seventeen, ma è l'ironia, quella di cui si serve per far trapelare il profilo del giovane come fondamentalmente quello di uno sfigato, un insicuro cronico in preda a deliri di onnipotenza e un accanito onanista, nonché per mettere in evidenza la ridicolaggine che può raggiungere l'esasperazione della devozione nei confronti del sistema imperiale, a non piacere ai militanti di estrema destra che si sentono colpiti nel vivo vedendo messi alla gogna i propri ideali e ridicolizzato un personaggio che era per loro ormai una sorta di eroe. La pubblicazione dei due racconti nel 1961 viene così accolta da un'ondata di lettere e telefonate minatorie rivolte a Ōe e al suo editore che, intimorito dalle minacce di morte, decide di togliere subito Morte di un giovane militante dal commercio. Da allora, non sarà più ripubblicato.

Gli insegnamenti che ho tratto da quella notte sono tre: io giovane della destra ho soggiogato completamente gli occhi altrui, io giovane della destra ho anche il diritto di infliggere qualsiasi crudeltà agli esseri più deboli, e ancora io giovane della destra sono il figlio di Sua Maestà l'Imperatore.

Il seventeen, protagonista del romanzo, è un individuo disprezzabile e non basterà la narrazione in prima persona a farlo percepire come più vicino, più comprensibile o meno disgustoso, non si può provare compassione per lui né un minimo di empatia, perché non è a questo che vuole spingerci l'autore. Al contrario, fin dalla prima pagina e man mano che si prosegue nella lettura, il racconto non farà che apparire sempre più sconvolgente, inquietante, sconcertante. Il protagonista è di fatto un personaggio debole, incapace di definire una propria identità dalla quale egli stesso non sia disgustato e per la quale provare un minimo di orgoglio: il suo unico rifugio è al chiuso della sua stanza, immerso nella sua attività onanistica; il confronto con gli altri lo spaventa, lo rende preda di un irrefrenabile senso di inadeguatezza che ha la tendenza a sfociare in una violenza incontrollata. Ed è proprio nella violenza, quella più spietata che mira a ferire irrimediabilmente gli altri, a causare dolore fisico e a infliggere perfino la morte, che trova la propria liberazione; nel terrore inferto agli altri che individua la propria forza e percepisce un'incontrollata sensazione di onnipotenza. 
L'orgasmo – che ricorre più volte nel corso della narrazione e che sempre più spesso è legato alla violenza, alla morte e alla figura stessa dell'Imperatore – diventa in questo contesto simbolo della sua infatuazione per il "divino sovrano" e del fanatismo ossessivo che governa ogni azione del giovane, in un gioco di parallelismi in cui l'ideologia stessa dell'estrema destra viene demolita e ridicolizzata. In tutto questo, Ōe si immerge completamente nella mente del suo protagonista, tracciandone il percorso interiore in modo estremamente realistico – e per questo sconvolgente – e interpretandone magistralmente pensieri, paure e ossessioni.

Ho letto questo libro in preda all'angoscia, con il groppo in gola e la pelle d'oca, raramente mi è capitato di provare queste sensazioni con un romanzo e, giunta alla fine della lettura, ho sentito come inevitabile un rimando a Il racconto dell'ancella, un libro che – a detta di molti – avrebbe dovuto sconvolgermi ma che mi ha lasciata con nulla di più se non un senso di indignazione. Il figlio dell'Imperatore, invece, questo sì che mi ha sconvolta: nel suo racconto così vivido e diretto di un mondo reale, nella rappresentazione di personaggi e azioni così realistici e credibili, è riuscito nel maledetto intento di scavare un solco dentro di me e buttarci dentro ogni sorta di delirio e crudeltà, lasciandomi sgomenta. Forse la storia voleva solo informare, forse mirava soltanto a criticare indirettamente e indurre il lettore alla riflessione, ma a me ha trasmesso letteralmente i brividi, il suo protagonista mi ha terrorizzata e a ogni nuova pagina che voltavo venivo assalita da un'indomabile sconforto. Il problema non è che si tratta di una storia realmente accaduta, il problema è che gente come questo seventeen è davvero esistita ed esiste, spesso indisturbata, ancora oggi: gente mossa dall'odio e da deliri di violenza, irrimediabilmente spinta da un incontrollato impulso all'infliggere sofferenza al prossimo. Leggere queste cose dall'interno è destabilizzante e mi viene da chiedermi cosa sia a portare a questo: si tratta soltanto di pazzia, di dannose malattie mentali che prendono involontariamente il controllo della nostra mente? È il risultato di un trauma? È puro lavaggio del cervello? O è forse solo debolezza? Sono sempre stata del parere che chi ricorre alla paura e alla violenza per imporsi agli altri sia in realtà sostanzialmente debole e insicuro, e allora mi chiedo: non può esistere un rimedio a tutto ciò? Ho l'impressione che le società siano sempre più chiuse al dialogo e all'ascolto quando più dovrebbero incoraggiarli, se imparassimo ad accogliere e curare le debolezze altrui anziché allontanarle, mi chiedo quante inutili stragi si potrebbero evitare.
Il figlio dell'Imperatore, se si riesce ad andare oltre l'ignobile pensiero del suo stesso protagonista, è a mio parere un romanzo che stimola questo genere di riflessioni e che, se da una parte mira indirettamente a denunciare un atteggiamento politico che l'autore per primo ha sempre cercato di combattere, dall'altra ci porta a interrogarci su cosa spinga l'essere umano all'impossibilità di vivere in pace. Ōe Kenzaburō è un narratore di grande abilità e inestimabile valore e sono lieta, pur con l'inquietudine che è riuscito a trasmettermi, di averlo finalmente scoperto. Non lo reputo tuttavia l'autore ideale con cui avvicinarsi alla letteratura giapponese in quanto le sue opere necessitano probabilmente di una maggiore conoscenza della storia e del pensiero del paese – che egli stesso definisce "il mio ambiguo Giappone" – per potere essere comprese e apprezzate nella loro interezza.

2 commenti:

  1. Ciao! :) Complimenti per la recensione. Conoscevo questo autore solo vagamente e solo di nome, ma in fatto di letteratura giapponese sono molto ignorante, il mio massimo è conoscere il nome di qualche autore che hanno tradotto anche da noi, perché è una letteratura che mi piace molto, ma qua termina la mia conoscenza. E quindi ignoravo il libro di cui hai parlato, ma ora sono curiosa. E' un libro che dovrei leggere quando sono dell'umore adatto, ma sembra una lettura molto interessante, quindi inizio col segnarmi il titolo :)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ciao :) Sì, decisamente bisogna essere dell'umore adatto per leggere questo libro perché è un po' forte, non tanto per le cose che succedono quanto piuttosto per i pensieri stessi del protagonista. Angoscianti è dir poco. Però, se mai ti sentissi dell'umore adatto, ti consiglio di leggerlo perché lo trovo un testo importante non solo nel contesto in cui è circoscritto ma anche in altri contesti magari più attuali ma ugualmente drammatici.

      Elimina